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Eugenio Pintore

  

BIODANZA: una nuova epistemologia
di Eugenio Pintore
Articolo tratto dalla rivista "BIODANZA" Novembre 1996

Le pagine che seguono vogliono essere una riflessione sulle implicazioni epistemologiche della biodanza. Non pertanto una riflessione globale sulla biodanza, quanto su un aspetto specifico che considera il suo rapporto con alcuni problemi tipici della filosofia della scienza: il dibattito tra realismo e costruttivismo, lo statuto veritativo e la portata ontologica delle enunciazioni scientifiche, la questione del metodo e dei modelli, insomma il rapporto tra la biodanza e tutte quelle questioni che sono comuni non alla pratica ma alla riflessione di secondo grado sulla scienza.
Perchè questa proposta?

Innanzitutto per dare sviluppo ad alcune intuizioni sorte nel corso di molte discussioni con Rolando Toro sulle analogie e affinità tra la biodanza e alcuni dei più recenti sviluppi della ricerca scientifica e della riflessione filosofica.

La collocazione della biodanza all'interno di quella che con una espressione alquanto efficace Rolando Toro chiama nuova intelligenza non si basa tanto su singoli aspetti della “tecnica” della biodanza quanto sulla comunanza di un atteggiamento verso la realtà e la vita che prende le distanze, anche dal punto di vista epistemologico, da molti “ismi” consolidati dalla tradizione (meccanicismo, riduzionismo, determinismo, etc.) per aprire la strada a una trasformazione teorica e concettuale che è innanzitutto una rivoluzione dei paradigmi e delle visioni del mondo.
In questa prospettiva la biodanza non appare solo debitrice ad elaborazioni effettuate in altri ambiti: in realtà essa stessa contiene in modo implicito delle proposte di grande rilevanza epistemologica su cui esiti è necessario riflettere esplicitandoli e valorizzandoli.

Anticipando quel che si dirà oltre affermiamo che la biodanza propone una epistemologia ed una teoria della conoscenza assolutamente innovative se non addirittura rivoluzionarie e il centro di questa “rivoluzione” riguarda essenzialmente il concetto di “vivencia”.
La centralità della “vivencia” nella biodanza spinge il suo effetto anche nel nostro modo di intendere la conoscenza: permette di recuperare l'aspetto “esperienziale” del rapporto conoscitivo, di superare la scissione tra “esperienza” e di modificare l'idea stessa di scienza.  
Dico “vivencia” ma bisogna dire insieme principio biocentrico perchè i due aspetti procedono insieme e sono indissolubili. Quell'unità che la biodanza pone a base della sua concezione, l'assunzione radicale di una prospettiva sistemica che supera la scissione corpo e spirito, tra soggetto e oggetto, tra particolare e universale e in ultimo tra parte e tutto deve essere estesa anche nell'ambito del conoscere, alla attività conoscitiva nel suo complesso. Per dirla con una battuta è necessario riconoscere che “c'è del corpo anche nel conoscere”, “c'è emozione” “c'è trascendenza” “c'è creatività” nella scienza e in generale nella “conoscenza”.

L'idea della scienza come risultato di una attività “neutra” in qualche modo “sterilizzata” da quelli che vengono ritenuti turbamenti soggettivi di carattere emozionale, viscerale, estetici, religiosi ma insieme culturali viene fortemente messa in crisi a favore di una concezione integrata globale del conoscere.
Non solo: anche la classica distinzione tra scienze dello spirito e scienze della natura, come definita da Dilthey, viene messa in discussione. Non c'è una scienza che possa esaurire l'elemento “fisico” “biologico” della realtà e un'altra che si occupa invece dello “spirito” dell'”anima”. Non si da' ambito della spiegazione senza la comprensione. La conoscenza e il sapere presupposti dalla biodanza sono sotto l'egida della totalità e della integrazione.
Quanto questo sia coerente con l'impostazione generale della biodanza, con il suo sistema di integrazione che coinvolge non solo l'uomo come soggetto vivente nel suo complesso bensì anche l'uomo come soggetto conoscente, appare bene dalla necessità, più volte espressa, di muoversi all'interno di tutte le forme discorsive (dalla biologia alla letteratura, dalla fisica alla poesia) con la certezza che ognuna a suo modo apporti una luce diversa sulla realtà.

La distinzione tra “scientifico” e “umanistico” è una limitazione che ci appartiene come cultura occidentale e che ha influenzato notevolmente la concezione della realtà e della vita costringendo a stare da una parte o dall'altra di un campo fittiziamente diviso: costringendo per esempio ad essere poeti o scienziati, filosofi o biologi. Sulla base di questa distinzione, da una parte la scienza occidentale ha costretto la realtà nel meccanicismo e nel determinismo e dall'altra la cultura umanistica ha risposto rifugiandosi nello “spirituale”. Una guerra di cui ancora oggi si sentono gli effetti e contro cui solo rari pionieri sanno opporsi con proposte di integrazione e superamento.
La biodanza e il pensiero di Rolando Toro rappresentano sicuramente una delle espressioni più di avanguardia di questa integrazione del sapere tutta ancora da compiere.

Restando all'interno del solo discorso scientifico la situazione non è tuttavia così lineare come può apparire.
Ci sono grandi questioni che non hanno ancora trovato soluzione.  
Quel che a prima vista appare scontato, per esempio la relazione tra enunciati scientifici e la realtà, è sottoposto, soprattutto negli ultimi decenni, a grandi ripensamenti.
Ad una scorsa anche schematica del dibattito in corso ci si rende conto di essere ancora nella fase di una contrapposizione acuta tra posizioni diverse.
Da una parte c'è chi afferma che il luogo dello scienziato è quello della neutralità; l'occhio puro dello scienziato è quello di un dio osservatore che si astrae dalle contingenze ed osserva il mondo descrivendolo con quella che suole definirsi “l'oggettività”. E' la posizione del realista che immagina se stesso come una tabula rasa in cui la realtà viene a riflettersi come in uno specchio lucido e puro. All'estremo opposto si collocano invece i fautori della teoria costruttivista che, radicalizzando le indicazioni che provengono dalla fisica contemporanea - ma insieme dalla riflessione ermeneutica e dalle analisi di autori come Kuhn e Feyrabend – sostiene che l'osservatore è sempre implicato nella descrizione dell'oggetto ed interagisce con esso, per cui è lecito affermare che lo scienziato partecipa egli stesso alla costruzione della realtà che descrive e che quella che chiamiamo scienza non è che una efficace invenzione il cui fondamento non risiede nella realtà ma nella coerenza del metodo utilizzato.

Cosa ha da dire la biodanza a questo proposito?
Stando alle assunzioni esplicite, quelle cioè che si trovano espresse nella definizione del modello teorico, essa si colloca in quella zona intermedia costituita dalla teoria dei modelli, una zona cioè in cui il valore della teoria non ha un carattere assoluto ma operazionale, in cui l'isomorfismo tra il modello e la realtà è subordinato alla efficacia e al riscontro sperimentale. Una posizione intermedia dunque tra due estremi: mentre da un lato riconosce il valore “mitico” finzionale del modello (in qualche modo l'aspetto costruttivista) dall'altro confida sulla sua capacità di operare sulla realtà come conferma della sua verità (in sintonia dunque con una posizione realista, per quanto di un realismo debole).
A guardare a fondo tuttavia la biodanza contiene e dice qualcosa di più.
Innanzitutto che il paradigma della rappresentazione in negativo ed in positivo è insufficiente: costruttivismo e realismo appartengono entrambi ad una concezione della realtà e dell'osservatore semplificati e ridotti ad un'unica funzione in base alla quale è reale solo ciò che può essere descritto e rappresentato e appartiene alla scienza solo ciò che rientra in questa relazione.
Non solo: il paradigma della rappresentazione costringe ad una segmentizzazione della realtà in oggetti separati, in fatti isolati dal tutto e solo in questo isolamento, che non è operazionale e metodologico ma spesso sostanzialista, descrivibili con esattezza.  
Ora la realtà che la biodanza considera, la vita nella sua totalità, non è riducibile a ciò che è descritto dal discorso scientifico nelle sue molteplici specializzazioni. Essa presuppone un ”di più”
che è legato alla appartenenza dei “fatti” e degli “oggetti” alla loro interazione con il tutto, un “di più” che inserisce nella rappresentazione e nella descrizione un elemento aleatorio, imprendibile, non suscettibile di descrizione.
Questo elemento che appartiene, come vedremo, all'orizzonte del significato, è quello che impone una concezione della scienza innanzitutto transdisciplinare ma che nel contempo riconosce un limite al discorso scientifico a favore di altre modalità discorsive.
Di qui una prima conseguenza epistemologica che riguarda l'articolazione tra modalità discorsive: la relazione conoscitiva con il mondo non privilegia il discorso scientifico ma pone sullo stesso piano di efficacia e di validità quello poetico, quello mitico, archetipico e in generale quello estetico.  
Quando Rolando Toro parla di nuova intelligenza il modello di riferimento è quello di un approccio alla realtà capace di contenere in sé la molteplicità dei discorsi, un discorso cioè capace di dare voce alla complessità delle relazioni e delle interazioni dell'uomo con la realtà, in cui, per fare un esempio, c'è altrettanta forza conoscitiva nella tragedia greca che nelle equazioni differenziali.
L'interdisciplinarietà non è da intendersi in questo senso come un semplice sincretismo o come un tributo al pluralismo: non si mette insieme la biologia con l'antropologia, l'etologia, la psicologia o ancora la poesia, la musica, la letteratura, solo per essere pluralisti.

Il problema serio della biodanza è la sintesi opposta alla analisi: non possiamo parlare della totalità del vivente, dell'uomo come partecipe della totalità della vita, se non mettendo in gioco tutto ciò che in un modo o nell'altro riguarda la vita: facile dunque comprendere che la biologia e l'etologia, la biochimica e la psicologia, la fisica e la chimica si alleino con la poesia, con l'arte, con il mito.
Ciò che la biodanza mette in crisi è innanzitutto una certa immagine del sapere che domina la ricerca sia scientifica che umanistica, un sapere che è vittima del pregiudizio della specializzazione.
C'è una frase di Edgar Morin a questo riguardo che mi piace citare: “la conoscenza specializzata è in se stessa una forma particolare di astrazione. La specializzazione astrae un oggetto da un campo dato, ne rigetta i legami e le intercomunicazioni con il suo ambiente, lo inserisce in un settore concettuale astratto che è quello della disciplina comportamentista, le cui frontiere spezzano arbitrariamente la sistematicità (la relazione di una parte con il tutto), e la multidimensionalità dei fenomeni.” (E. Morin, Terra-Patria, Milano, Cortina Raffaello, 1994, p.159).
Si potrebbe dire in questo senso che la biodanza  è metasistemica nel senso in cui ne parla Stafford Beer nella prefazione al testo di Maturana e Varela Autopoiesis e cognizione (Venezia, Marsilio, 1988) invece che interdisciplinare: la biodanza non si limita a collezionare prospettive diverse ma piuttosto mira a superare le singole discipline in una sintesi più ampia.

E siamo giunti al punto.
L'idea del conoscere “sterilizzato” è quella che ha portato alla egemonia dello stabile contro la variazione, del generale contro il particolare, della legge fondamentale contro le singolarità: elementi che le nuove epistemologie antideterministe, legate alla teoria della complessità e alla teoria del caos hanno faticosamente messo in discussione.
Siamo comunque nell'ambito della categorizzazione e dell'analisi. La realtà è ridotta in frammenti, e l'uomo stesso è ridotto al frammento dell'intelletto.
“il pensiero che compartimenta, taglia e isola permette agli specialisti e agli esperti di essere molto efficienti nei loro compartimenti e di cooperare efficacemente in settori di conoscenza non complessi, in particolare di quelli concernenti il funzionamento delle macchine artificiali; ma la logica alla quale tali persone obbediscono estende sulla società e sulle relazioni umane i vincoli e i meccanismi non umani della loro macchina artificiale, e la loro visione meccanicistica e deterministica, quantitativa e formalistica, ignora, occulta e dissolve tutto ciò che è soggettivo, affettivo, libero e creatore” (E.Morin, Terrra Patria p.162).

Quello che ci chiediamo tuttavia è: come dovrebbe essere un pensiero diverso?
Se finora abbiamo messo in luce i limiti del discorso scientifico non è perchè crediamo nella superiorità delle altre forme discorsive, perchè vogliamo lasciare intendere che nella biodanza il discorso estetico per esempio sia “superiore” alla scienza.
Se così facessimo resteremmo nella scissione e nell'opposizione.  
Se tanti danni sono derivati dalla concezione fisicalista, altrettanti ne sono derivati da quella spiritualista.
L'ostilità nei confronti del “fisico” ha portato ad una visione dell'uomo tutto anima, una squalificazione del corpo e della realtà fisica, paradossalmente una privazione di trascendenza alle manifestazioni della vita proprio mentre si dava l'impressione di sostenerla. Una opposizione che ha sancito, confermato e sottoscritto quella scientifica. L'immagine del sapere che ne deriva è quella di un antiscientismo pregiudiziale: un analisi dell'uomo privo di corpo, un'analisi della terra come un insieme di “morta” materia ed una esaltazione di tutto ciò che è mentale e spirituale.
Una scissione che ha definito lo sviluppo ipertrofico del sapere umanistico senza la scienza, che ha portato alla “astrazione” alla cancellazione delle componenti terrestri, biologiche animali dell'uomo. Un sapere che è un tradimento della vita.
Di fronte a questo la biodanza non può che proporre il ritorno alla sacralità della materia, del corpo, della vita con la proposta, nuovamente, di un sapere dell'integrazione.
Ma cosa significa un sapere realmente integrato? Cosa significa un sapere che tenga contro anche del suo essere corpo?

Le nuove ricerche sulle scienze cognitive ci hanno abituato ad una concezione della conoscenza intesa come attività complessa di un soggetto biologico.
Siamo cioè entrati in una dimensione dell'epistemologia che affronta il conoscere nella sua costituente “corporea”, in riferimento cioè al suo essere espressione di un sistema vivente.
E' un discorso di grande interesse che comincia a rendere ragione dei presupposti biologici del conoscere.
Quel che è interessante, al di là dei contenuti particolari, è tuttavia la prospettiva di fondo, il mutamento di paradigma.
Un mutamento che può essere esteso in direzione di approfondimenti neurofisiologici ma che può anche essere spinto verso una concezione del sapere integrata con il progetto vitale dell'uomo.
Quel che ci domandiamo, seguendo il progetto integrante della biodanza, è quanto segue: se il soggetto conoscente, l'osservatore, il pensatore, lo scienziato, è un sistema vivente quale sarà il sapere che sia sintonia con la totalità del suo sistema?
O ancora: se la conoscenza ha una costituente organica e biologica in che modo interagisce con le altre costituenti del suo sistema, con le emozioni per l'esempio o l'istinto?
E' possibile immaginare un sapere “integrato” in cui tutto l'essere partecipi all'esperienza del conoscere?

La vivencia: esiti epistemologici

La complessità della realtà, la sua totalità chiede un approccio molteplice, in cui le forme del discorso, emergenze di modalità, relazioni, esperienze, prendano voce contemporaneamente.
Una epistemologia sistemica e transdisciplinare costituisce il primo passo verso una nuova concezione del sapere e della conoscenza.
Il passo successivo è ancora più profondo.  
Si tratta di connettere il sapere con l'esperienza, con la profondità e la totalità del nostro essere viventi. Su questo punto tuttavia le riflessioni teoriche non sono molte. La conoscenza viene considerata una attività separata dalla totalità delle costituenti affettive istintuali emozionali, in breve dalla corporeità nella sua totalità.
La neurofisiologia stessa ha cercato di isolare il sistema neuro cerebrale dedicato alla attività conoscitiva dal tutto dotandolo di una propria autonomia funzionale. Che si chiamo coscienza, mente, sé intellettivo o riflessivo la ricerca ha mirato a separare e scindere cartesianamente la “res cogitans” dalla corporeità.  
E' evidente che da un punto di vista sistemico questo non è più sostenibile: anche ragionando su una concezione frammentata delle aree cerebrali sembra indispensabile procedere per una teoria modulare del funzionamento cerebrale in cui ogni parte interagisce sempre con tutte le altre (così il connessionismo).

Ancor meno sostenibile lo è se diamo al concetto di conoscenza un valore più ampio che include le relazioni del sistema umano con se stesso e con il proprio ambiente smontando innanzitutto il pregiudizio che privilegia il discorso logico razionale.
In questa prospettiva la proposta della biodanza con la centralità che dà alla “vivencia”, all'emozione, alla musica, al movimento – aspetti che sono apparentemente lontani da qualsiasi obiettivo conoscitivo – offre un orizzonte nuovo per una esperienza e conoscenza.
Essa mira innanzitutto a valorizzare tutto ciò che sottostà come un terreno fecondo all'ambito logico linguistico, manifestando le radici su cui l'arte come la scienza, possono crescere come espressione della vita umana.
La vivencia intesa come esperienza profonda ed integrata del nostro esserci qui ed ora può fornire un modello alquanto efficace per una concezione del conoscere in sintonia con una prospettiva davvero sistemica, un conoscere che superi ogni privilegio del logico deduttivo a favore di una concezione “sinfonica” dell'attività conoscitiva, un cui tutte le componenti dell'essere umano dalla percezione alla immaginazione, dall'emozione al movimento, concertino verso la conoscenza di sé e del mondo.
Ciò che si esperisce nella vivencia è innanzitutto questo effetto di risonanza del molteplice: una esperienza integrata di relazione con gli altri e con il mondo che apre nuove vie di percezione e di comprensione.
Una esperienza anche conoscitiva ma non limitata all'osservazione o alla rappresentazione: piuttosto una conoscenza vissuta, partecipata.

Non è facile rendere nel vocabolario  della scienza o della filosofia ciò che è la vivencia.
Possiamo segmetarla nei linguaggi più diversi: dire per esempio nel linguaggio della rappresentazione che la vivencia si configura come uno stato descrivibile in termini biologici in relazione a delle variabili fisiologiche misurabili e verificabili: una certa pressione arteriosa, un certo flusso ormonale, una prevalenza di certi neurotrasmettitori piuttosto che altri e così via...; eppure tutto ciò non ci dice niente della vivencia. Possiamo dire il “visibile” della vivencia, per esempio una certa connotazione posturale, una certa mimica facciale ma ancora la “vivencia” sfugge.
La vivencia si comprende in modo empatico.
Noi vediamo una madre carezzare il figlio ed empaticamente capiamo cosa sta accadendo, non solo ma sentiamo cosa sta accadendo.
Questa capacità empatica procede su livelli di comprensione assolutamente precategoriali rispetto ai quali la descrizione è assolutamente insufficiente. La riflessione arriva sempre dopo.

Come rendere contro dunque del potere conoscitivo della vivencia?
Dobbiamo ricorrere a delle metafore: dire per esempio che nella “vivencia” le nostre capacità sono potenziate perchè aprono modalità che superano quelle del linguaggio analitico, perchè fanno appello alle originarie ed innate potenzialità conoscitive in cui l'analogico, l'emotivo l'istintuale possono superare i limiti e i confini imposti dalla prevalenza del modello logico razionale, dai pregiudizi culturali, dalle ossificazioni linguistiche. E' l'esperienza di un nuovo modo di conoscere integrato con il proprio essere e con l'essere del mondo.
Queste affermazioni non sono senza conseguenze dal punto di vista epistemologico: significa innanzitutto ridare al concetto di “conoscenza” una dimensione più ampia di quelle previste dal discorso scientifico e più vicina in questo senso all'ambito estetico. Una tragedia, un quadro, una poesia, un mito ci parlano della realtà e ci fanno conoscere la realtà con una profondità ed una ampiezza che sfugge a molte descrizioni scientifiche.
Dico molte e non tutte nel senso che oltre al meccanicismo e il determinismo la scienza del nostro secolo ha aperto prospettive di grande risonanza vivenciale. La teoria della relatività di Einstein, il principio di indeterminazione di Heisenberg, la teoria delle catastrofi di Thom, la scoperta del DNA, la teoria del caos e ancora molte altre hanno aperto orizzonti non solo a nuove conoscenze ma a nuove modalità di esperire la realtà che sono delle vivencia di totalità.
La biodanza insegna da questo punto di vista a non capovolgere in modo indiscriminato il rapporto tra la scienza: non si tratta di abbandonare il discorso scientifico a favore di un sapere più intuitivo o a favore dell'estetico ma di cogliere la loro portata vivenciale.
Quando si pensa per esempio alla teoria dell'ordine implicato di Bohm, il riferimento è non solo “scientifico” ma anche vivenciale. Parliamo di principio biocentrico ma senza vivencia resta un puro concetto vuoto, parliamo di affettività e sessualità ma senza vivencia non significano niente, diciamo in ultimo trascendeza ma senza vivencia si trasforma in una pura e vuota assunzione filosofica.

C'è un che di paradossale in quanto stiamo dicendo perchè se la vivencia in biodanza si configura come un abbandono dell'atteggiamento rappresentativo, descrittivo, analitico proprio della scienza a favore di un nuovo rapporto, vivenciale appunto, con il mondo come possiamo parlare ancora di scienza, di sapere?
Io credo che la centralità epistemologica della vivencia conduce all'integrazione del sapere non alla contrapposizione.
Abbiamo bisogno di una nuova immagine del sapere. Dare al sapere la caratteristica del vivente, quelle caratteristiche che nella vivencia conosciamo bene, in cui la separazione tra il visibile e l'invisibile è superato, in cui il corpo è tutt'uno con l'immaginazione e l'emozione, in cui noi siamo tutt'uno con il mondo, fatti della stessa materia eterna inseriti nel flusso di una vitalità senza confini.
Diciamo transdisciplinare in senso orizzontale ma anche multidimensionale in riferimento alla profondità, alla intensità, al significato, al senso.
C'è dell'estasi nella scienza, c'è emozione, c'è piacere ed entusiasmo; come c'è conoscenza nell'emozione, c'è intelligenza nell'istinto, c'è “scienza” nell'arte.
Superate le antiche distinzioni nell'universo del sapere i confini diventano mobili, un oceano si apre alla navigazione, una navigazione ancora tutta da compiere.

Il principio biocentrico

c'è un altro elemento che mi piace sottolineare, che è indispensabile anzi sottolineare perchè anch'esso caratterizza i mutamenti in corso negli ultimi anni.
Ed è il rapporto tra conoscenza e vita.
Il principio biocentrico impone di legare il sapere alla vita, di mettere il sapere al servizio della vita. Non parlo di una subordinazione della ricerca scientifica alle esigenze etiche.
Certo c'è anche questo. Quel che voglio dire è che il modello epistemico, il paradigma non influenza solo la ricerca scientifica ma anche il rapporto dell'uomo con la vita, la concezione dell'uomo, la concezione del vivere.
Non esiste in questo senso neutralità del sapere.
Pensiamo ad esempio all'influenza avuta dal modello scientista sulla cultura occidentale, quello per cui solo ciò che è scientifico è ritenuto “vero”, pensiamo ai danni fatti dal positivismo, dal meccanicismo quando hanno conglobato nel loro orizzonte tutto il sapere. Pensiamo ancora a quel terribile equivoco che è stato anche nel corso del nostro secolo la rincorsa delle esigenze umane alla scientificità intesa come adeguamento ai parametri deterministici e meccanicistici. C'è stata insomma una sopravvalutazione di approcci epistemologici che hanno comportato, oltre certo a tutti i vantaggi, anche delle forme esasperate di riduzionismo in cui farne le spese è stata senza dubbio la ricchezza dell'esperienza.

Se si vuole un esempio efficace si pensi alle influenze avute sulla concezione della salute, della malattia e della cura dalla medicina che si regge su un paradigma cartesiano, su una scissione semplificata e omologanate.
Questo non significa criticare l'approccio scientifico ma la sua parzialità e la sua cecità, e il suo voler considerare oggetti complessi come oggetti semplici.
Ora nel caso della biodanza il principio biocentrico non è solo una assunzione dogmatica che ha esiti solo nel campo etico in funzione del rispetto della vita o in quello dell'esperienza di trascendenza come “vivencia” della totalità.
Tutt'altro. Il principio biocentrico in quanto affermazione della vita quale fondamento cosmico dell'essere in tutte le sue forme e manifestazioni ha degli esiti di carattere epistemologico rilevanti.
Impedisce innanzitutto ogni forma di riduzionismo (non c'è nessuna scienza che basti da sola a dire tutta la ricchezza e l'inesauribile mistero della vita) erge un muro contro qualsiasi tentazione meccanicistica o contro qualsiasi forma di determinismo. La realtà umana (e no) non è solo un meccanismo, una serie di rapporti di causa effetto: la vita informa di sé tutto l'universo rendendolo un organismo vivente che a livelli differenti, dalle strutture elementari della materia fino alle galassie, è capace di autorganizzazione, di autopoiesi, di innovazione.

Qual'è allora l'atteggiamento epistemico, il paradigma che deriva dal principio biocentrico?
Fondamentalmente quello che non si mantiene nella dicotomia tra spiegare e comprendere: non è certo che lo scopo della scienza sia solo quello di “spiegare” la realtà; non lo è sicuramente per tutte quelle che sono state definite “scienze umane” ma non lo è neanche per quelle tradizionalmente definite scienze “dure”.
La spiegazione è un aspetto che riguarda formalmente la logica della giustificazione e che ben si accompagna a tutti i criteri di convalida sperimentale degli assunti scientifici; non è però così certo che riguardi anche il contesto relativo alla logica della scoperta scientifica. A questo livello anzi sembrano entrare in gioco elementi che appartengono ad una precomprensione del reale che con contempla solo il riferimento ad assunti scientifici.
La capacità di “vedere” certe cose piuttosto che altre, di cercare in una direzione piuttosto che in un'altra vive di elementi che possono fare riferimento a una esperienza del mondo e della vita in cui si mescolano indifferentemente aspetti sociologici e religiosi, estetici e antropologici. Un certo modo di interpretare la realtà nel suo complesso interagisce e influenza la direzione della ricerca.
Superare il confine tra spiegare e comprendere significa immaginare un sapere, una “scienza nuova” in cui la distinzione tra scienze fisiche naturali e scienze umane e tra queste e l'universo dell'esperienza estetica o religiosa non abbia più il carattere della contrapposizione, della lotta ma piuttosto dell'integrazione.

La vita è il centro del sapere: da essa sorge e ad essa deve restare fedele. Ogni tentativo di “fissare” la sua complessità e la sua variabilità in schemi e in scissioni dovuti più alle discipline che alla vita stessa deve essere abbandonato a favore di una concezione fluttuante e aperta del sapere vicina a quella nuova alleanza tra i saperi auspicata da Prigogine (Ilya Progogine, La Nuova Alleanza, uomo e natura in una scienza unificata, Torino, Einaudi, 1981) o al “passaggio a Nord Ovest di Michel Serres (Michel Serres, Passaggio a Nord-Ovest, Pratiche, 1985).
Questa prospettiva diventa ineludibile quando si passa dalla vita in generale all'uomo.
Se possono esserci perplessità sulla adattabilità di una concezione centrata sul principio biocentrico di fronte alla fisica, alla chimica o alla cosmologia (ma si vedano le ricerche di Schrodinger prima e successivamente di Bohm o le aperture in questo senso di Capra) nel caso delle scienze dell'uomo il discorso è senza dubbio più recepibile.
La distinzione tra fisico e spirituale qui è davvero superata.
Il profondo lavoro innovativo della biodanza è in questa prospettiva di grande significato.
Qui davvero non è possibile sottilizzare sulle distinzioni disciplinari.
L'insegnamento della biodanza a questo riguardo è che le scissioni del sapere riflettono scissioni più profonde nella concezione stessa dell'uomo.
La biodanza chiama e vuole un sapere globale.

Coerente ad una prospettiva sistemica? Sì, ma non solo. L'approccio sistemico, nella definizione almeno di Bertalanffy ha costituito la griglia di riferimento ma è una griglia in espansione e non tanto di direzione degli sviluppi alla teoria dei sistemi verso la teoria della complessità che è certo significativa: l'espansione paradigmatica, perchè è di paradigmi che stiamo parlando prima ancora che dei contenuti specifici, nel caso di Rolando Toro comporta introdurre la dimensione poetica e trascendente come categorie essenziali di tutti i processi organici e vitali. Mi rendo conto che questa affermazione può generare qualche perplessità in quanto sono categorie poco “scientifiche” e quindi esposta alle critiche. Eppure senza di esse ritorna anche nella teoria dei sistemi e della complessità una forma di riduzionismo e di meccanicismo nonostante le raffinate elaborazioni concettuali che procedono in senso contrario.

Cerco di spiegarmi meglio.
Ci sono alcuni concetti che nel paradigma sistemico modificano la concezione meccanicistica in funzione di nozioni come quelle di processo, relazione, autorganizzazione, omeostasi, flessibilità, feedback, differenza qualitativa nel passaggio dalla parte al tutto etc... sono nozioni che nel modello teorico della biodanza sono essenziali.
Il fatto è che tendono ad eludere (la teoria della complessità più della teoria dei sistemi) il problema fondamentale che è quello del significato. Nel senso che danno una visione più complessa della realtà, la spiegano meglio ma sempre a partire da una concezione della vita e della realtà isomorfa ai nostri domini concettuali di carattere logico matematico.
Gregory Bateson sosteneva che i nostri modelli logici probabilmente non vanno così bene per analizzare e comprendere i fenomeni naturali: la logica non funziona con loro, forse bisogna usare la metafora o piuttosto il paradosso e la poesia (si veda in particolare il testo Dove gli angeli esitano, Adelhi, 1989).
Il riferimento a Bateson non è casuale perchè dal punto di vista del metodo costituisce uno dei pochi esempi di uno scienziato in cui la poesia per sua esplicita affermazione fa parte dell'epistemologia.
Un esempio che trova invece una espansione ancora più grande nel modello di Rolando Toro. In una concezione integrata della realtà, non dualista, non vittima delle scissioni proprie alla cultura occidentale, non si può escludere dalla realtà il problema del significato anche se non è detto che questo possa essere colto ed espresso nei termini di un linguaggio scientifico che continua ad opporre il fisico allo spirituale. Non c'è né fisico né spirituale: la realtà è oltre queste distinzioni.
Dove comincia e dove finisce la vita?
Non c'è confine.
Mi piace a questo riguardo citare la nozione di evento elaborata da Prigogine all'interno di una discussione sull'evoluzione:
“un evento non può essere per definizione dedotto da una legge deterministica: esso implica in un modo o nell'altro, che ciò che si è prodotto avrebbe potuto non prodursi, esso rinvia dunque a dei possibili che nessun sapere può ridurre.

Il mondo di intelligibilità dei possibili in quanto tali e degli eventi che decidono tra questi possibili è per definizione, la descrizione probabilistica. Tuttavia le leggi probabilistiche in se stesse, non sono ancora sufficienti. Ogni storia, ogni narrazione implica degli eventi, implica che si sia prodotto ciò che avrebbe potuto non accadere, ma essa è interessante solo se questi eventi sono portatori di senso... (se) danno vita a nuove coerenze” (Prigogine-Stengers, il tempo e l'eternità, Torino, Boringhieri, p.46).
Perchè questa citazione? Perchè dimostra che è possibile e necessario introdurre anche nella descrizione fisica categorie che appartengono per esempio all'universo letterario: qui, Prigogine e Stengers affrontano la descrizione degli eventi in funzione della irreversibilità temporale alla luce della categoria della narrazione.
“Il fatto che in una serie di eventi, un mutamento minimo, possa prendere senso, possa cessare di essere un mero rumore nel tumulto insensibile dell'attività microscopica, introduce in fisica quell'elemento narrativo che è indispensabile per una autentica concezione dell'evoluzione.”  
Non è questo il luogo per approfondire una questione di grande portata che riguarda il ruolo del tempo e dell'irreversibilità nella definizione delle leggi naturali. Quel che è interessante è la strategia analitica.
Il mutamento di paradigma sia nella nozione di evento sia in quello della evoluzione è di grande interesse perchè affini alla nozione di creatività e di metafora poetica sia appunto a quella di narrazione. L'evento è tale solo se produce senso, se crea coerenze, e la storia di questa creazione può essere raccontata.
E' solo un esempio.

Nella prospettiva di Rolando Toro il poetico e il trascendente non svolgono solo una funzione accessoria rispetto per esempio alla descrizione biologica, etologica o psicologica.
Il poetico e il trascendente sono presenti fin nella radice del modello teorico là dove si parla di potenziale genetico. Il DNA si configura come l'origine di una continua creazione di senso. L'azione biochimica è densa di poesia perchè crea eventi unici e irripetibili che conducono alla manifestazione della individualità umana intesa essa stessa come un evento, un evento che è insieme una rivelazione, un miracolo.
Se non si introduce questa dimensione “poetica” nella analisi dei costituenti biologici precipitiamo di nuovo nel meccanicismo e nel determinismo. Restiamo fermi ad una concezione scissa dei processi biologici, fissata nel regime del significante.
Una distinzione credo che appartenga ancora sia dalla parte dell'oggetto che da quella del soggetto all'ambito cartesiano che fa del significato qualcosa esclusivamente mentale o spirituale abbandonando il corpo al suo essere “solo” macchina.
Abbiamo parlato di biologia ma lo stesso può dirsi per tutti gli altri aspetti man mano che si procede nell'analisi e nella descrizione degli aspetti più complessi dell'uomo.
La scissione è sempre in agguato. E' in agguato là dove si parla di istinti, di emozioni, di comportamenti.

L'obiezione che spesso si sente fare è che tutto ciò che tende a descrivere l'uomo in termini scientifici, neurofisiologici o etologici, sia esposta al rischio di riduzionismo.
Credo che questo sia vero, ma solo se si resta nella prospettiva del determinismo e più ancora in quella del gioco aleatorio dei significanti che non contemplano il significato.
Il significato è la totalità vivente ad un certo momento della sua storia. E' la risonanza, il concerto (nel senso musicale) di un infinito numero di elementi (quegli elementi che le diverse scienze si preoccupano singolarmente di analizzare e di definire) che esistono in funzione delle loro interazioni.
Il significato è il miracolo dell'evento, l'apparire di una singolarità.
Da questo punto di vista ogni attimo rappresenta una innovazione, un evento che difficilmente nella sua totalità può essere “fissato” in una descrizione se non per approssimazione facendo cioè astrazione del molteplice, dalla complessità delle variabili che interagiscono nella creazione di un certo stato.
Con questo non si vuole dire che non sia possibile riconoscere anche in riferimento all'uomo delle costanti: soprattutto se colte a livelli gerarchici diversi.
Possiamo per esempio definire il grado di risposta e dei reazione organica di fronte a un evento critico per esempio, ad un evento che minacci la sopravvivenza; possiamo anche legare il piacere e il desiderio a certe costanti neurologiche ed ormonali ma la qualità e la singolarità di una emozione non possono essere esaurite da una pura computazione biochimica. La complessità dei processi, delle interazioni, delle modularità all'interno dell'organismo è così vasta che neanche una scienza totale, una scienza cioè che fosse un grado di comprendere e gestire la totalità delle variabili sarebbe in grado di descriverla.
Quel che sfuggirebbe sarebbe sempre la singolarità, ciò che rende ogni persona ed ogni attimo della vita di una persona unico e irripetibile.
Ora è vero che da un punto di vista epistemico non si può superare il valore precrittivo delle regolarità, delle leggi generali, delle costanti.
Su questo non ci sono dubbi.
E' vero anche che su basi comuni i innestano le singolarità.
E' in questo, mi pare, che la biodanza aggiunge qualcosa di nuovo.
Sì al riconoscimento ed alla scoperta delle costanti, delle leggi, siano esse biologiche, etologiche, antropologiche, ma insieme sì alla salvaguardia dell'evento, del miracolo, della singolarità appunto.
E' in questo che una poetica del vivente si inserisce nel progetto espistemico: le leggi, le costanti atntropologiche sono la premessa per l'emergenza e la continuità del miracolo della creazione.

IBF - INTERNATIONAL BIODANZA FEDERATION
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